Ospedali, rapporto choc:
apparecchiature vecchie
ed edifici a rischio crolli
Nord e Sud Italia
uniti da ritardo tecnologico e sprechi
Uno dei punti critici del sistema sanitario
italiano: la scarsa innovazione tecnologica
Che l’Italia non sia proprio un Paese per giovani è
risaputo. Ma la cosa si fa preoccupante se alla terza,
anzi, alla quarta età, appartiene anche la maggioranza dei nostri
ospedali. Vecchi fuori e pure dentro. Perché la maggior parte di loro
è stata costruita prima della guerra e quasi uno su dieci ha visto
passare persino le truppe napoleoniche. Mentre le apparecchiature per gli
accertamenti sanitari basilari non tengono il passo con l’innovazione
tecnologica. Colpa dell’assenza cronica di investimenti
in sanità e degli sprechi.
Gli strumenti
Un’indagine condotta da Assobiomedica,
l’associazione delle imprese che producono apparecchiature
elettromedicali, rivela che quasi il 40% delle Tac hanno
più di dieci anni, quando non dovrebbero superare i 7 anni di vita. Sono
ancora a 16 strati, ossia riescono a leggere molto
meno in profondità nel nostro corpo, visto che quelle più moderne
di strati arrivano a visionarne 200. Stesso discorso vale per i mammografi. Dovrebbero essere ricambiati ogni sei anni e
invece il 66,8% è lì da oltre 10 anni:
non sanno cosa sia la tecnologia digitale. A doppia cifra è anche
l’età dell’84,7% degli apparecchi per le radiografie al
torace, mentre va meglio per chi deve dare una controllatina
a vene e arterie, visto che in questo caso gli angiografi ultradecennali sono «solo» il 30,7%
del totale.
Le risonanze magnetiche non dovrebbe
superare i 5 anni, ma circa il 60% delle apparecchiature ha alle spalle
più «anzianità di servizio» e il 23,2% supera i 10
anni di età.
Poi c’è anche il rovescio della medaglia. Nella terra
degli sprechi e delle liste d’attesa infinite, la Sicilia, lo scorso anno
sono state ritrovate Tac, risonanze, mammografi e altre apparecchiature costose acquistate e
rimaste imballate nei sottoscala o attivate dopo anni. E casi del genere, qua e
là, sono spuntati anche in altre parti d’Italia. Ma questo appartiene al capitolo «sprechi» della
nostra sanità, che in parte spiega anche perché poi scarseggino i
soldi da destinare al ricambio tecnologico dei macchinari. O alla
ristrutturazione dei nostri ospedali.
La manutenzione
Basta incrociare i dati della Commissione parlamentare
d’inchiesta sul nostro sistema sanitario e quelli della Protezione civile
per rendersene conto. Il 9% delle strutture (ovvero 75) risalgono
all’era napoleonica, nel 15% dei nostri nosocomi la prima pietra è
stata messa quando i nostri bisnonni combattevano la prima guerra mondiale,
mentre il 35% è stato costruito prima che finisse il secondo conflitto
mondiale. In pratica 6 ospedali su 10 hanno più
di 70 anni di vita alle spalle. E nemmeno ben portati. La Protezione civile
denuncia che di manutenzione se ne fa ben poca è così il 60%
rischia di venire giù con un terremoto nemmeno troppo violento.
Oltre alle statistiche quelli della Protezione hanno buttato
giù anche una piccola black list degli ospedali pericolosi. Casi
esemplificativi e non esaustivi, come quello del “Ss.
Annunziata” di Napoli, classe 1889, senza manutenzione e investimenti,
definito il più pericoloso della Regione. Ed è tutto dire,
visto che sempre in Campania sorge l’Ospedale del Mare, che in
realtà è a soli
Ma anche il nord ha le sue perle. Come la
clinica pediatrica dell’Ospedale Maggiore di Parma. Inaugurata nel 1920,
nel febbraio del
Storie di ordinaria follia che hanno origine anche da una carenza cronica di investimenti. «Da dieci anni la
spesa per investimenti in conto capitale è ferma per carenza
cronica di risorse» denuncia Valerio Fabio Alberti, Presidente della Fiaso, la Federazione di Asl e ospedali. «Come quota di investimenti pubblici su quelli privati siamo oramai
ultimi in Europa, ci batte solo
Paolo Russo
La Stampa 16 giugno 2014