“Il Post” giornale telematico dedica spesso articoli ben documentati sullo stato della sanità pubblica e in particolare sulle liste d’attesa, i cui tempi di prenotazione continuano ad aumentare (vedi il post Ancora sulle liste d'attesa), determinando un ulteriore inaccettabile fenomeno rappresentato dalla rinuncia di sempre più cittadini a curarsi (vedi Quanto si può aspettare per una visita medica).
Nell’articolo che riguarda direttamente i tempi di attesa per avere una visita medica, vengono elencate le due gravi conseguenze derivanti da comportamenti definiti illegali delle cosiddette Aziende sanitarie (pubbliche) che non di rado attuano un blocco delle liste eludendo così il rispetto dei tempi e limitando l’accesso alla sanità.
La prima, secondo l’articolo, è che per ottenere una visita in tempi brevi (o accettabili, diciamo noi) molte persone sono costrette a rivolgersi, in modalità non convenzionata, quindi molto costosa.
In privato, continua l’articolo, ci sono più posti disponibili e soprattutto in tempi più rapidi perché cliniche ed ospedali privati hanno organizzazioni più più flessibili rispetto agli ospedali pubblici e possono concentrare l’attenzione e gli sforzi sulle prestazioni più remunerative.
La seconda, sempre secondo l’articolo, è che le persone che non possono permettersi di pagare una struttura privata sono costrette e rinunciare alle cure.
Non c’è nulla da eccepire sulla seconda conseguenza nella parte in cui afferma che (sempre più) persone sono costrette a rinunciare alle cure. Sulla prima conseguenza, invece, non viene ricordato e sottolineato uno dei pilastri su cui si basa il più che ventennale scandalo delle liste d’attesa.
Si tratta della cosiddetta “libera professione intramoenia” all’interno delle strutture pubbliche per mezzo della quale un cittadino se opta per la lista “pubblica” rischia di aspettare mesi e mesi per avere una prestazione che, viceversa, se accetta di pagare la libera professione può ottenere nel giro di pochissimo giorni, nello stesso luogo e magari con lo stesso professionista.
Anche fino alla fine degli anni ’90, prima del decreto 229 detto “Bindi”, c’erano liste d’attesa che però restavano in limiti contenuti ed accettabili, limiti determinati da istituti di incentivazione del personale sanitario, quali ad esempio il plus orario, che avevano lo scopo di dare al personale riconoscimenti economici in cambio di prestazioni aggiuntive.
A ciò, essendo la classe medica molto diversificata nelle competenze e nelle mansioni (per fare un esempio il chirurgo e l'anestesista o il radiologo), ne venivano aggiunti altri.
Chi ha vissuto quel periodo come amministratore pubblico ricorda che i “privati” li contestavano con veemenza con l’argomentazione che si trattava di “concorrenza sleale”, minacciando anche il ricorso a vie legale che mai ci fu.
Poi è arrivato il decreto 229, e la musica è cambiata, in peggio per i cittadino. La cosa più sensata sarebbe affermare di avere sbagliato e rimettere in piedi un sistema che valorizzava il personale esaltandone anche l’etica professionale, profondamente in crisi e una delle ragioni dell’abbandono delle strutture pubbliche da parte di molti operatori.
Ma l’impressione e non solo quella è che si tratti di un pio desiderio.